Sono in molti a puntare su questa tecnologia, a partire dai costruttori giapponesi e coreani. Ma quali sono i suoi limiti per le auto?
L’idrogeno è uno degli elementi più presenti in natura. Pensiamo a quanto idrogeno è racchiuso nelle molecole d’acqua che sommergono gran parte del nostro pianeta. Oppure alle quantità di questo elemento presente nelle masse stellari del nostro Universo o disperso qua e là in forma gassosa nelle nebulose intergalattiche.
Potremmo dire che ne abbiamo un po’ dappertutto. E magari anche fin troppo, ma invece non è proprio così. In natura infatti non lo possiamo trovare nel suo stato puro (H2), ma sempre unito a qualche altro atomo per formare un elemento diverso, come il metano.
O pensiamo all’ammoniaca ad esempio, stretta parente dell’idrogeno. Contiene tanto di questo ingrediente cosmico che addirittura si sta pensando di utilizzarla come carburante alternativo per le navi, anche se non sono mancati sviluppi per un suo impiego anche nelle auto.
Sull’idrogeno – puro o nella sua versione di componente base degli e-fuels – sta da tempo operando sviluppi interessanti sia il settore navale, sia l’aerospaziale, ma anche quello dei trasporti pesanti su gomma, o il motorsport. Tutti questi settori sono alla disperata ricerca di idrogeno perché questo elemento ha il doppio vantaggio di essere utilizzabile sia come carburante da bruciare allo stesso modo della benzina, ma è tre volte più potente di questa, sia come vettore energetico.
Con questo termine si intende che l’idrogeno può essere considerato una buona base di partenza per produrre altre forme di energia che possono servire per utilizzi differenti, può servire ad esempio per produrre energia elettrica quando e dove vogliamo. Peccato che non sia proprio così semplice ottenerlo. Insomma, il problema di base di questo capriccioso idrogeno allo stato puro è la difficoltà di estrarlo dalle molecole in cui è racchiuso. Il processo di produzione a partire dall’acqua (elettrolisi) non è affatto banale, e assorbe per di più una quantità di energia notevole. A volte se ne impiega più per estrarre l’elemento di quella ottenibile dal suo impiego come vettore energetico. In poche parole, si va in perdita.
Ma se fosse solo quello il problema, allora i costi si abbatterebbero con l’impiego in dosi massive dell’energia generata dalle fonti rinnovabili, energia che sarebbe a costo (quasi) zero. Una volta prodotto però, dove lo mettiamo? Non è che si possa utilizzare la tanica della benzina: serve un dispendioso processo di conservazione per stivare questo gas a 700 atmosfere, o se si preferisce cercare di comprimerlo in meno spazio, occorre mantenere una temperatura di 253 gradi sottozero. Insomma non proprio facilissimo.
La sfida tra batterie e idrogeno nel settore dei trasporti riguarda senza dubbio due fattori principali: la percorrenza (autonomia) e i costi. Sul primo è più forte l’idrogeno, sul secondo l’elettrico. Attualmente, l’industria delle batterie ha investito molto di più rispetto all’idrogeno come vettore di mobilità, ma solo per i costi più contenuti che comporta. Non è da escludere che l’idrogeno potrebbe diventare a breve più conveniente, una volta che diventerà più flessibile, ma al contempo anche le batterie raggiungeranno un migliore rapporto qualità-prezzo. Dal punto di vista ambientale entrambe le alternative sono a impatto zero in termini di CO2. Insomma, la sfida continua.