Cosa succede se continuiamo a produrre auto elettriche senza venderle? Fino a quando potrà durare questo paradosso? Ecco i suoi contraccolpi
Tesla a parte, che ha scalato in questi ultimi tempi la vetta della classifica mondiale posizionando la sua Model Y come l’auto più venduta a livello globale, gli altri competitor dell’industria automobilistica arrancano.
Le evidenze sembrano chiare da un dato incontrovertibile: si sta continuando a produrre molti più veicoli elettrici di quanti effettivamente siamo capaci di venderne. Sarà forse una strategia che vede tutti i marchi opporsi al dominio di Elon Musk nel settore, fatto sta che da qualche parte dovranno pur andar a finire queste auto.
Eclatante ed inquietante allo stesso tempo l’assurdo caso delle migliaia di auto elettriche scoperte qualche tempo fa da un drone in una zona rurale in Cina. In quell’occasione si venne a sapere che le auto, appena uscite di fabbrica e con gli interni ancora foderati dalle plastiche, erano state abbandonate lì per sovrapproduzione.
In quel caso si trattava di un tentativo un po’ disperato di ricevere gli incentivi statali e i premi produzione destinati dal governo di Pechino per i costruttori più virtuosi del mercato cinese. Nascondere le auto invendute in un campo sembrava la soluzione ottimale per farle sparire dagli stabilimenti e far quadrare i conti. Se già in Cina – che nel 2021 deteneva il controllo del 45% delle vendite globali veicoli elettrici e il 60% della produzione – questo fenomeno ha iniziato a preoccupare, figuriamoci cosa succede nel resto del mondo. Il problema di base sembra essere sempre quello, non solo in Italia: la crescente forbice di disallineamento tra domanda e offerta di veicoli elettrici è un segno del fatto che siamo tutti ancora troppo cauti nell’acquistarne uno, in primis a causa del prezzo, e poi per il problema ancora irrisolto dei tempi di ricarica, del tutto inadeguati ai ritmi della vita di tutti i giorni.
Il momento sembra essere piuttosto critico, nonostante le case automobilistiche abbiano scommesso gran parte del loro futuro sull’elettrificazione sperando in risultati migliori. In un’intervista risalente ai primi anni di produzione della nuova Fiat 500 elettrica, fu lo stesso Sergio Marchionne ad affermare che per ogni auto che usciva di fabbrica, Fiat perdeva migliaia di euro. Ma allora era una tecnologia agli albori, qualcuno doveva pur spingerla per attendere tempi più fruttuosi.
Il problema è che da allora sono passati anni, “i costruttori hanno sfornato auto su auto e ora aspettano che arrivino gli acquirenti“, sottolinea Jonathan Gregory, senior manager di Economic and Industry Insights di Cox Automotive, la quale aveva già evidenziato l’ingrossamento delle scorte di veicoli elettrici durante una sua recente analisi del settore. Negli Stati Uniti, ad esempio, l’offerta nazionale di veicoli elettrici in stock è aumentata di quasi il 350% quest’anno, superando le 92.000 unità. Cioè in pratica il mercato elettrico Usa ha scorte di magazzino per coprire 92 giorni, quasi il doppio della media del settore.
Il che non è proprio il massimo, dato che le auto in stock rappresentano capitali immobilizzati. Di solito i concessionari possono contare su un giro di magazzino al massimo di una cinquantina di giorni per i veicoli a benzina, soprattutto all’indomani delle interruzioni della catena di approvvigionamento. Secondo gli analisti del settore auto i prezzi dei veicoli elettrici dovrebbero raggiungere la parità con quelli dei veicoli a benzina intorno al 2025. Anno atteso con trepidazione dalle case automobilistiche, le quali al momento non possono far altro che intercettare nuovi acquirenti in attesa di tempi migliori.