Lo stop del 2035 non convince i politici degli stati membri e gli industriali più navigati. Chi la spunterà? A Bruxelles fanno i conti senza l’oste
Lo stop ai motori termici ha creato un mare di critiche da parte dei governi di alcuni paesi membri dell’UE, che si sono fatti portatori delle istanze di costruttori e terze parti del settore energetico. Tutti uniti nella disperata richiesta di proroghe o soluzioni alternative che diano ancora qualche speranza di vita al vecchio motore a scoppio.
La cosa è sempre più chiara. Gli interessi in gioco in questa bagarre – che vede contrapporsi le più alte istituzioni europee ad alcune delle cariche governative e industriali più illustri di alcune nazioni europee – sono decisamente tanti e soprattutto sono strategici. Di fatto, da come andrà realmente a finire la questione dipenderà in parte il futuro energetico del vecchio continente.
Per alcuni esperti del settore automotive c’è ben poco da discutere, poiché, come per ogni dinamica squisitamente commerciale, anche per le auto termiche prevarrà alla fine la libera scelta del mercato. Se la domanda dei consumatori non ne vorrà sentire di stop alle auto a combustione interna, non ci saranno santi che tengano, con buona pace degli eurodecisori di Bruxelles e Strasburgo.
I presupposti peraltro ci sono tutti. Ricapitoliamo. Qualcuno di noi vede già una rete efficiente di ricarica rapida con colonnine sparse un po’ ovunque? La risposta è no. Ma c’è una ragione dietro a tutto questo. E non è certo colpa dei fornitori, che anzi non vedono l’ora di aggiudicarsi qualche colonnina in più. Il problema è strutturale, e ha a che fare con la capacità della rete di distribuzione dell’energia.
Un’infrastruttura ancora inadeguata a reggere un cambio di prospettiva così radicale come quello imposto dall’auto elettrica. In mancanza di quelle che vengono chiamate “smart grid”, la distribuzione sul territorio dell’energia sarà sempre inadeguata, e arrancherà sotto il peso di una richiesta smisurata di elettricità per smarcare il fabbisogno di tutti, di cui gli automobilisti rappresentano solo una minima parte.
Ciò significa che, stando al modello attuale, anche se si riuscisse a produrre l’energia sufficiente per tutti, le reti di distribuzione collasserebbero. Inoltre c’è da tenere a mente un altro fattore endemico nella produzione di energia elettrica da rinnovabili: i picchi di produzione. Le fonti rinnovabili sono fantastiche, ma sono alquanto discontinue e intermittenti (non possiamo far funzionare il fotovoltaico di notte, né l’eolico in assenza di vento).
A volte si può produrre così tanta energia elettrica da essere costretti a “buttarla” letteralmente, altre volte ci serve ma non ce l’abbiamo. Motivo che spinge a chiedersi se saremo in grado di voltare pagina a livello energetico una volta dato l’addio ai motori termici. E soprattutto se avremo fatto in tempo a riorientare il business di tutta la filiera automotive. Preoccupazioni su questo tema espresse anche da Luca Cordero di Montezemolo: “Il futuro dell’auto in Italia è preoccupante”. Secondo l’ex presidente della Ferrari, il 2035 è troppo vicino, e il rischio di perdere l’ottava posizione a livello mondiale tra i costruttori di automobili è sensibile.