“Stop benzina e diesel: “Una follia” | Per l’Italia un colpo devastante”
È indispensabile creare le condizioni abilitanti per lo stop ai motori termici: infrastrutture, incentivi all’acquisto, produzione di energia da fonti rinnovabili
L’Unione europea ha deciso di abbracciare l’elettrificazione dei trasporti con il divieto di produrre nuove auto e furgoni con motori a combustione a partire dal 2035, secondo le linee contenute nel piano “Fit for 55”. Ma questa svolta ecologica non è stata accolta unanimemente: da un lato c’è chi è sensibile ai temi ambientali, dall’altro politici e stakeholder si rivelano preoccupati per gli effetti sulle imprese e sull’occupazione.
Mentre i 27 Stati membri si preparano a transitare dalla produzione di motori alimentati a combustibili fossili a quelli 100% elettrici, l’industria automotive europea è fiduciosa di poter far fronte alla sfida. Tuttavia, questa transizione spaventa le associazioni di categoria come l’Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, seriamente preoccupata per il futuro incerto dei veicoli. Secondo Anfia lo sviluppo di soluzioni tecnologiche in grado di dimezzare le emissioni di CO2 entro il 2030 è quasi impossibile.
L’obiettivo che mira ad eliminare completamente i motori a combustione interna minerebbe la neutralità tecnologica necessaria a valorizzare le competenze già esistenti e mitigare gli impatti sociali della transizione. A questo scopo Anfia ha chiesto di introdurre un meccanismo di contabilizzazione dei benefici dei carburanti rinnovabili che potrebbe favorire una graduale decarbonizzazione in modo sostenibile.
Lavoratori a rischio: 70mila in Italia, 300mila in Europa
La direttrice generale di Acea (Associazione costruttori europei), Sigrid de Vries, si è detta invece positiva per affrontare la sfida, nonostante l’avvertimento lanciato a fine gennaio da Luca De Meo, presidente dell’Acea, fosse chiaro: se l’Europa non gestirà in modo adeguato la transizione verso i veicoli elettrici, fino a 300.000 lavoratori su un totale di 13 milioni del settore automobilistico potrebbero essere messi a rischio.
Secondo Gianmarco Giorda, direttore generale di Anfia, gli 8,7 miliardi di euro stanziati per il Fondo automotive “non sono nemmeno lontanamente sufficienti per salvare la filiera automotive dalla crisi imminente. Serve un fondo di transizione gestito dall’Ue, e serve ora”. Giorda ha sottolineato che il divieto di produrre motori termici dal 2035 avrà un impatto devastante sulle imprese del settore già nei prossimi 3-6 anni, e che ci sarà un’imminente crisi di credito per le aziende della componentistica. Inoltre, si stima che il divieto metterà a rischio 70.000 posti di lavoro in Italia, un numero ribadito anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in una recente intervista su Raiuno.
Tajani: “l’industria ha bisogno di più tempo”
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ribadito i rischi per l’occupazione e le gravi ricadute organizzative che una decisione del genere potrebbe avere per le aziende della filiera automotive. Sulla base di questo scenario catastrofico ha proposto una riduzione del 90% (anziché 100%) delle emissioni di CO2 per le auto e la possibilità di produrre ancora motori termici dopo il 2035.
Tajani ha sottolineato che l’industria automotive ha bisogno di tempo per adattarsi ai nuovi sistemi e 10 anni non sono sufficienti. Anche il ministro dei Trasporti Matteo Salvini si è opposto al divieto europeo, accusando Bruxelles di essere mosso da malafede e di voler distruggere l’economia italiana ed europea per avvantaggiare il gigante cinese. Il numero uno della Lega ha chiesto più tempo e contributi economici per la transizione.