Dal 1 gennaio del 2023 i prezzi dei carburanti sono cresciuti parecchio. Di chi è la colpa del caro benzina: delle accise, degli squilibri sul mercato o della speculazione? Vediamo insieme numeri e pareri degli esperti
Dal 1 gennaio si è verificato un notevole aumento dei prezzi di gasolio e benzina rispetto a quelli dello scorso dicembre. I giornali attribuiscono la colpa alla fine dello sconto sulle accise, che era stato introdotto il 22 marzo 2022.
Secondo i dati riportati da Quotidiano Energia, il prezzo medio della benzina in modalità self è di 1,821 euro al litro mentre il prezzo medio del gasolio in modalità self è di 1,879 euro al litro. Invece, in modalità servito il prezzo medio della benzina è di 1,965 euro al mentre quello del gasolio 2,023 euro al litro.
Per quanto riguarda i prezzi medi del GPL siamo intorno ai 0,793-0,804 euro al litro e quelli del metano oscillano tra i 2,312 e i 2,603 euro.
I prezzi aumentano notevolmente in autostrada, poiché i distributori devono pagare un canone al gestore dell’autostrada e hanno costi del personale decisamente più elevati.
La cause principali del caro benzina risiedono nei divieti europei nei confronti dell’acquisto di petrolio e prodotti raffinati dalla Russia. Secondo Simona Benedettini, esperta di mercati energetici, «la crescita dei prezzi dei carburanti non ha a che fare con la speculazione, ma è essenzialmente dovuta a una condizione di eccesso di domanda causata da un rallentamento degli investimenti nella produzione dei combustibili e, più in generale, a colli di bottiglia nell’offerta di petrolio e nella raffinazione che riguardano soprattutto il gasolio».
Per Salvatore Carollo, esperto di prezzi delle materie prime, è importante ricordare anche il ruolo delle accise nella questione del rincaro dei carburanti: «L’Italia, si sa, ha una tassazione dei combustibili per trasporto tra le più alte in Europa. È una tassa facile, che i governi usano per costituire i flussi di cassa, benché incida molto su trasporti, merci, materie prime, generi alimentari e agricoli».
Inoltre, bisogna tenere presente che anche il settore della raffinazione italiana non se la passa molto bene. «Negli ultimi anni è un fuggi fuggi di compagnie», ricorda Carollo, «ultima la Esso, che ha venduto l’impianto di Trecate e tra poco scomparirà col suo marchio storico. Poi c’è la ciliegina sulla torta del taglio dei flussi di prodotti dalla Russia, che potrebbero cessare del tutto da febbraio. In questo scenario chi raffina in Italia, che fino a pochi anni fa aveva margini quasi a zero, oggi ricava 20 o 30 dollari per barile».